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Ruosina

Altezza: 100 m. s.l.m.
Abitanti: 423, di cui 187 nella parte di frazione posta nel comune di Seravezza e 236 nella parte di frazione posta nel comune di Stazzema (al 31 luglio 2008, mentre al censimento 2001 erano rispettivamente 193 e 221)
Chiesa: San Paolo e Sant'Antonio da Padova
Patrono: S. Paolo (29 giugno)
Eventi e Tradizioni: Processione e luminaria per la festa del Patrono (29 giugno), Sagra (luglio e agosto).

POSIZIONE GEOGRAFICA

Ruosina è posta nella valle del fiume Vezza ed è divisa fra i comuni di Seravezza e Stazzema. Della frazione posta nel comune di Seravezza fanno parte i toponimi Colletto, l'altra parte di Cansoli. Della frazione di Stazzema fanno parte i toponimi Al Sole, Argentiera, Campeggioli, Cansoli, Iacco, Ontana, Orto dei Berti, Riccetto, Rughetta.

STORIA

Ruosina è parte una frazione del Comune di Seravezza e parte del Comune di Stazzema. Più volte gli abitanti ne hanno chiesto la riunificazione, ma l'istanza è sempre stata respinta.

Molto si è discusso e molto si discute ancora sull’origine etimologica di questo nome. Alcuni lo fanno risalire all’etrusco Rasna-Rasenna, il nome con cui gli Etruschi chiamavano sé stessi, i “Rasenna”. Altri lo fanno derivare dal latino “Ruotina” o “Rotina” (latino medievale) cioè “strada carreggiabile”. C’è poi chi lo fa risalire al nordico “Ruotsi” (rematore). Il Santini, nel vol. VII dei suoi Commentarii, pag. 499, scriveva che la parte sottoposta alla Diocesi Lucchese era la Ruosina propriamente detta. Infatti: “nella parte del Comune di Retignano, cioè al di là del Canale di Terrinca, poiché il ponte di questa Villa divideva la Diocesi Sarzanese da quella Lucchese (…)”. Nel libro “All’ombra del Matarone” del professor Ernesto Guidi, a pag. 23, leggiamo: “faccio a tal uopo osservare che la parte più alta e più vecchia del paese (Ruosina) viene chiamata Cimarocca, il che potrebbe costituire un certo indizio a favore dell’esistenza a Ruosina di un’antica rocca, sia pure di modeste proporzioni. A sostegno di questa tesi c’è un fatto poi storicamente rilevante ed è che nell’epoca granducale a Ruosina fu assegnato un compito di alta importanza, proprio anche sul terreno, diciamo così, strategica o, se si vuole, strategica-economica, considerandola terra di confine. (…) Ruosina era allora la parte d’ingresso da nord e da est degli stati di Modena e di Lucca”. Da qui il proverbio: “chi passa per Rosina e non inciampa, va sicuro fino in Francia”. Gli storici Campana e Santini, indicano la data del 1018, in un documento di allivellazioni di “beni appartenenti alla chiesa di Santa Felicita e Giovanni in Versilia, esistente nell’archivio archiepiscopale di Lucca, si farebbe, insieme a molti altri, anche il nome di una Ratina, che potrebbe identificarsi con Rosina”. Invece Guidi, insieme ad esperti paleografi, si è “accertato che di Ratina non c’è cenno in essa, mentre invece vi compare chiaro il nome di Rotaio”(pag 22). “Prima di tutto il suo nome: Ruòsina o Ro’sina? Il popolo che l’abita e le genti vicine la chiamano e l’hanno sempre chiamata Ro’sina, con la “o” cupa. Come mai allora è venuto fuori un Ruòsina con tanto di dittongo, che dà al suono della “o” un’apertura larga e spaziata? (…) Il nome dittongato deve essere sorto in epoca tardiva, quando dopo la seconda metà del ‘500, la Versilia diventò possedimento granducale, col titolo di Capitanato di Pietrasanta e fu invasa dai fiorentini e dai pisani; è un’ipotesi interessante, ma tutta da verificare, perché non è da escludere che il nome dittongato, sia nato dopo l’unità d’Italia, (1861) quando l’Istituto geografico militare, nel tentativo di dare un nome definitivo alle varie località, ha deciso di scegliere la forma più “italiana”. Secondo il Santini (vol. VII pp. 453-454) il nome deriverebbe da “ruota”, “in forza di qualche edifizio munito (come son tutti quelli spinti dalle acque) di questo movente. Invece il Guidi propende per un origine del verbo “rodere”, “in considerazione della fortissima incassatura del fiume, che qui a Ruosina mostra d’aver “roso” profondamente il terreno.” (pag.21) (VERIFICARE)

Il Santini, nei suoi Commentarii, afferma che Ruosina è menzionata in un documento del 1091, laddove si parla di proprietà della pieve di Santa Felicita. Quando, nel 1321, l'esercito di Lodovico il Bavaro si impadronì di Pietrasanta, consegnò a Castruccio Castracani anche Ruosina. 

Durante il governo di Cosimo I, la Versilia conobbe una fase di intensa fioritura economica e territoriale: è infatti attestata la presenza di numerose ferriere e officine. La prima impresa privata che sorse in Toscana nella seconda metà del '400 fu la Magona, una sorta di privativa nel commercio del ferro, inizialmente gestita dalla Compagnia genovese degli Spinola che poi finì per passare, nel 1488, ai Medici. La vena acquistata dalla Magona veniva smistata tra i fabbricati della Versilia siti a Stazzema, Ruosina, Pruno e Calcaferro. La produzione di ferro era costituita per lo più da ferri e chiodi da cavallo, da bullette e gangheri ed era era destinata, per lo più, al mercato locale. Il termine Magona mutò di significato quando nel 1543 Cosimo I decise di ristrutturare mulini e antiche fabbriche e di far costruire un forno a Ruosina al fine di promuovere ancor più il ciclo dell'attività siderurgica in Versilia, dall'acquisizione del minerale alla commercializzazione del prodotto finito. Il materiale giungeva dall'Isola d'Elba allo scalo di Motrone fino a Pietrasanta e quindi a dorso di mulo fino a Ruosina. Per avere un'idea del ritmo di produzione basti pensare che gli impianti di Ruosina consumavano 11 mila some di carbone di castagno acquistati nei boschi di Farnocchia. Ruosina, divenuta sede del magoniere, acquisì anche il ruolo di chiave della giurisdizione ecclesiastica, e punto di convegno di tutti gli abitanti delle valli vicine, con botteghe di vario genere, una farmacia e l'uffico del veterinario. Il borgo di Ruosina, facente parte del comunello di Retignano, era diventato un vero e proprio centro industriale, il nodo più importante della siderurgia versiliese grazie anche alla sua posizione strategica. 

Nel 1560 la Magona decise di fare di Ruosina uno dei poli siderurgici del Granducato, perché la valle dove sorge il borgo era ed è attraversata da due fiumi alimentati da parecchi torrentelli, che mantengono sempre nell'alveo la quantità di acqua necessaria a far funzionare le macchine degli stabilimenti. Questo polo siderurgico si sviluppò così lungo la confluenza di due torrenti, il Vezza e il Canal del Giardino. A Ruosina si produceva di tutto: tra le altre attività, nel 1580, si affermarono anche i fabbricanti di armi, fra i quali Francesco Amoretti, un Ventura archibugiere, Antonio Guazzi e i Bonci, tutte botteghe capaci di produrre anche terzarole e pistole, prima che il primato passasse agli uomini di Valventosa. Tra le notizie curiose, si ricorda che nel 1603 anche la granduchessa Maria Cristina, come aveva già fatto il suo predecessore Cosimo I, appassionata pescatrice, trasse una trota dalle acque del Vezza nei pressi di Ruosina. Lo ricorda un cippo posto a memoria di quell'evento. Il Granducato Mediceo del '600, disponendo delle miniere di ferro dell'isola d'Elba e delle ferriere di Follonica, Massa Marittima e Cecina impiantò in Versilia ben sette battiferi, con l'intenzione di sfruttare l'acqua del fiume per purificare i metalli. Senza contare poi il battiferro di Maliventre (Cardoso), sotto la direzione della Magona, che si stabilì proprio a Ruosina. 

Nelle metà del XVIII° secolo il territorio di Ruosina si componeva di 23 famiglie, 113 abitanti occupati quasi tutti nelle arti meccaniche essendovi allora 4 mulini, 2 botteghe di fabbro, 1 chioderia, 1 ferriera, 1 distendino della Regia Magona con i suoi ministri. La Magona ruosinese del '700 era composta di tre ferriere, di due distendini e di due chioderie: le tre ferriere si trovavano una a Cansoli, una a Ruosina e la terza all'Argentiera; dei due distendini uno era situato sulla via di Cansoli e l'altro a Ruosina, accanto alla ferriera; infine, quanto alle chioderie, la prima, detta “del Rossi o di Casa”, si trovava sul piazzale della Magona e la seconda, chiamata “la Fontana”, si trovava in probabilmente in località “Il Gatto”. Fino al luglio 1998 erano ancora in piedi le antiche mura della Magona di Ruosina, posta davanti al ponte nuovo, alla confluenza del Vezza col torrente di Cansoli, ma per decisione del comune di Stazzema tutto è stato abbattuto. Il personale impegnato era tanto, se si conta anche la gente addetta al taglio dei boschi e a tener accese le carbonaie. Basti pensare che il bisogno di carbone era tale da doverlo importare dai comunelli della Cappella, di Terrinca e di Levigliani. Il grande secolo della lavorazione del ferro in Alta Versilia, che aveva il suo centro in Ruosina, fu il '700, anche già nel tardo '600 tale lavorazione aveva già la sua notevole importanza.

Nel 1776 il granduca Leopoldo Pietro I abolì i numerosi comunelli della Versilia e istituì, al loro posto, le tre comunità di Seravezza, Pietrasanta e Stazzema, stabilendo che quest'ultima avesse sede municipale a Ruosina. Il paese era in quel tempo, tra il 1776 e per quasi tutto l'800, il centro più importante di tutto il comune di Stazzema, vi risedeva anche la Magistratura.

Negli anni '20 dell'800 le attività di lavorazione del ferro entrarono in crisi a causa della concorrenza forestiera. Tale crisi si aggravò ulteriormente con il motuproprio granducale del 16 novembre 1829 che liberalizzava l'introduzione in Toscana dei prodotti lavorati all'estero. Le ferriere allora furono progressivamente convertite in segherie per la lavorazione del marmo. Chi dà impulso a questa nuova industria è un francese, G.B. Alessandro Henraux, venuto per incarico del governo e su richiesta di Elisa Baciocchi Bonaparte. In vent'anni, dal 1820 al 1840, il numero di telai per segare i blocchi salì da 7 a 24 e quello degli operai impiegati da 40 a 600. Il lavoro non era però di certo dei più facili: la giornata era di 12 ore il salario giornaliero oscillava tra 1,80 e 2,16 lire. Verso la fine del secolo si formarono le prime leghe operaie, nate proprio per strappare al padronato migliori condizioni di lavoro: le ore lavorative giornaliere passeranno da 12 a 10 e, infine, a 8, mentre i salari toccheranno le 3 lire.

E così, nel corso del XIX° secolo, l'economia ruosinese muta sostanzialmente, passando dal ferro a lavorare il marmo: le vecchie officine si trasformano in segherie e frulloni e sui piazzali si vedono gli scalpellini intenti a riquadrare i blocchi e le lastre. Grande incremento al commercio del marmo diede l'apertura della strada d'Arni, inaugurata il 18 marzo 1879, che permise di accedere agli agri marmiferi della valle. Principale proprietario di tali cave era il già citato Henraux, cui seguivano a distanza i Viti e i Cipriani. L'apertura di tale strada favorì la nascita e il proliferare di molte botteghe dove si poteva bere vino e caffè, divenute luogo d'incontro dei carratori e carrettieri che scendevano dalle cave d'Arni. I marmi venivano trasportati su carri e carrette trainati fin da 12 paia di buoi; per alleggerire tale traffico furono messe in funzione grosse trattrici, volgarmente chiamate “le ciabattone”, che percorrevano perlopiù il tratto Arni-Risvolta, dove era localizzata l'officina per le riparazioni.

La decadenza del paese era, però, già cominciata. In primo luogo, il 1° Gennaio 1883 la sede municipale venne trasferita al Ponte, e, in seguito, iniziarono a sparire pian piano gli esercizi e i negozi, come effetto di un progressivo spopolamento delle zone interne e collinari della Versilia in favore dei centri della piana come Querceta e Pietrasanta.

LUOGHI D’INTERESSE

CHIESA DI SAN PAOLO APOSTOLO E SANT'ANTONIO DA PADOVA

Le notizie relativa a questa Chiesa intitolata ai Santi Paolo Apostolo e Antonio da Padova sono pochissime; sappiamo soltanto che la Chiesa, appartenente alla diocesi di Luni-Sarzana divenne cappellania curata nel 1596 e parrocchia nel 1787, quando passò prima alla diocesi di Pontremoli e successivamente a quella di Pisa nel 1798.

La chiesa, prima del 1787, era un semplice oratorio e si chiamava “San Paolo del Colletto”, perché la parte di paese che lo frequentava era costretta ad arrampicarsi sopra il piccolo colle dietro il quale si celava l'oratorio. Con la costruzione della nuova strada fu necessario tagliare a forza di mine il promontorio che degradava nel fiume. Con il conferimento del titolo di parrocchia la Magona si trovò obbligata a compiere un restauro della chiesa e un ingrandimento della canonica: in un primo momento venne aperto il coro, ricavato in buona parte della vecchia canonica; successivamente venne eretto il campanile e ulteriorimente ingrandita la chiesa con la costruzione della volta reale che la copre e, probabilmente, della cappella laterale destinata al culto della Madonna. Inoltre, nei primi anni dell'800, venne posto il fonte battesimale, a forma di grande pisside e in bardiglio fiorito.

IL CIPPO DELLA TROTA

A ricordo della trota presa all'amo dalla granduchessa Maria Cristina nel 1603 è stato posto un cippo con la scritta: “La serenissima Cristina lotaringia granduchessa, prese sotto questo masso una trota di libbre tredici.” Sopra il cippo venne collocata una trota di marmo della grandezza di quella pescata dalla sovrana. Come ricorda Ernesto Guidi quel punto, da allora, prese il nome di “Alla trota” in memoria di tale evento. Il plinto c'è ancora ma la trota di marmo non c'è più; alcuni dicono che sia quella che  è possibile vedere ancora oggi sopra il pozzo posto nell'atrio di Palazzo Mediceo. In seguito venne collocata un'altra trota, ma anche quest'ultima fu rubata ad opera di ignoti.

MONUMENTO DELLA VITTORIA O NICE

Il monumento in marmo alto 5 metri, della “Vittoria” o Nice, denominato pure, in greco, Nike, ha dominato a lungo nella piazza del paese, sino all'alluvione del 1996 che l'ha notevolmente danneggiato, per essere riportato – dopo un accurato restauro da parte di Giancarlo Deri, nel luogo di collocazione iniziale il 4 novembre 2000. Alla base della colonna, con scolpiti rami di olivi uniti da un drappo, la dicitura “Alla sua balda gioventù eroica che sui campi insaguinati della grande guerra con la visione negli occhi della Patria più grande e del mondo più libero votò la propria carne al sacrificio e il proprio spirito alla immortalità della gloria Ruosina degnamente superba.”

Per il monumento s'impegno, in pratica, tutto il paese: gli operai lavorarono gratuitamente per ampliare la piazza dove è stata collocata la statua, mentre il marmo bianco fu offerto dai fratelli Cipriani, gli altri dai Viti e dalle altre ditte; il lavoro, infine, uscì dallo studio dello scultore Bacci di Pietrasanta. L'inaugurazione avvenne una domenica di settembre del 1921. L'attaccamento della popolazione all' “angelo di marmo” è stato rinnovato nel novembre 2000, con Ezio Marcucci, il quale ne ha percorso in dettaglio le vicende storiche, portando la memoria dapprima ai tragici avvenimenti del 1944, in cui “Ruosina fu ancora testimone e crocevia di tanti accadimenti”, ricordando, tra le altre cose, “Anche l'Angelo della Vittoria subì la ferocia dei bombardamenti rimendo seriamente danneggiato emutilato in alcune parti”.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Giannelli, Giorgio Almanacco Versiliese, Edizioni Versilia Oggi, 2001-2008, voll. 1, 3 (vedi voci “Chiese e Oratori”, “Ruosina”).

Guidi Ernesto All'Ombra del Matarone, Pacini Fazzi Editore, 2008 (prima edizione 1978).

Gierut Lodovico (a cura di), Monumenti e Lapidi in Versilia in memoria dei Caduti di tutte le guerre, Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in guerra – Comitato provinciale di Lucca, 2001.

 


 

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