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Pro Loco Seravezza

Basati

Altezza: 430 m. s.l.m.
Abitanti: 200 (censimento 2001)
Chiesa: San Ansano; Santa Maria Maddalena
Patrono: San Ansano (settembre)  Santa Maria Maddalena (luglio)

POSIZIONE GEOGRAFICA

Il paese è situato sulle pendici orientali del monte Cavallo, posto su un riparo che domina la valle del Giardino, ha di fronte la confluenza con il canal del Bosco, i borghi di Terrinca, Levigliani e lo splendido scenario del Corchia e della Pania della Croce.

STORIA

L’origine etimologica è sconosciuta; la tradizione orale lo vorrebbe derivare da “sbassati”, in riferimento ad un abbassamento dell'abitato da Pian d'Ajora alla sede attuale. Una teoria più recente, avanzata da Leopoldo Belli, pone l'attenzione invece sull'etnico “Vasates”, appartenuto ad una confederazione celto-ligure della Francia meridionale che aveva il suo centro nell'attuale cittadina di Basats e si distingueva per l'arte di lavorare il ferro. A riguardo è significativo come anche Basati fosse specializzata, in passato, per la lavorazione dei metalli.

La prima citazione del toponimo risale al 1320 in un estimo della Comunità di Pietrasanta, in cui figura tra le pertinenze della stessa insieme alla vicina Cerreta. S.Antonio. Nel successivo estimo del 1333 relativo alla comunità di S.Martino alla Cappella risulta però tra i paesi federati ad essa, anche non è chiaro come mai avvenga questa traslazione. Fin dal Quattrocento sono documentate fabbriche per la lavorazione del ferro, lungo la sponda destra del Giardino, in località “Folle” o “Follo”, Cansoli e Zingola. In quel periodo la gestione del territorio era già suddivisa tra le selve di castagno e i campi terrazzati, mentre nelle terre Alte dell’Alpe di Basati si sfruttavano i pascoli per gli armenti (soprattutto ovini e caprini) e le enormi faggete intorno al monte Ronchi e lungo valle di Arni per fare carbone. Proprio la produzione di carbone per le ferriere lungo il Giardino e la valle del Vezza rappresentò una grossa risorsa economica per il paese; nei boschi circostanti Basati, ancora oggi sono visibili gli spazi riservati alla realizzazione delle carbonaie. Dal 1450 al 1578 si registrarono contrasti e vertenze con gli abitanti di Vagli di Sotto per la gestione dei pascoli comuni nella valle di Arni, sfociati in veri e propri atti di guerra. Nel 1536, nella lista degli artigiani del paese, vi erano due fabbri, quattro segatori d’assi, un cerchiaio ed un mugnaio. Lungo il corso del torrente di Basati, vicino allo sbocco nel canale del Giardino, si trovano i suggestivi resti del Mulino di Tortuliano. Nel territorio si trovano due chiese. La prima, dedicata a S.Ansano, che divenne parrocchia autonoma nel corso del XVIII° secolo; l’altra chiesa è quella di S.Maria Maddalena che nacque come oratorio d’alpeggio e si trova in Campagrina presso la Turrite Secca.

Intorno alla metà del Settecento Targioni Tozzetti, importante medico e naturalista legato allo sviluppo scientifico ed economico della Toscana, segnalava l'esistenza di molti filoni di ferro in Betigna, (Alpe di Basati), con segni d'oro, argento e piombo. In realtà tali giacimenti non vennero mai sfruttati, mentre vennero aperte miniere di rame, sempre nel XVIII° secolo, presso la già citata chiesa di S. Maria Maddalena. Fino all'inizio del XIX° secolo la comunità di Basati trovava sostentamento nella pastorizia, nella produzione di carbone di faggio e nella lavorazione del legno di castagno. Molto importante per la comunità di Basati fu l'avvento dell'economia del marmo e l'apertura di numerosi bacini marmiferi: per assistere al massiccio sfruttamento degli agri marmiferi del monte Altissimo e del pizzo Falcovaja bisognerà però attendere la prima metà dell'Ottocento, a partire dagli anni Venti, con il connubio tra l'ex ufficiale napoleonico Alexandre Henraux ed il seravezzino Marco Borrini. L'apertura dei bacini d'estrazione intorno al massiccio dell'Altissimo (Cervaiole, Giardino, Piastrone) creerà una richiesta di manodopera che non solo coinvolgerà quasi tutta la forza lavoro di Basati, ma richiederà l'apporto di pendolari dai centri e dalle zone limitrofe. Nella seconda metà del Novecento il fenomeno si è gradualmente ridimensionato, soprattutto per l'ausilio di nuove tecnologie che hanno ridotto drasticamente l'apporto di manodopera in cava.

Nella storia del paese, va ricordata l’esistenza di una banda musicale, oggi scomparsa, quando i suonatori più anziani insegnavano ai giovani l’uso dei vari strumenti. Gli uomini a quel tempo lavoravano alle cave del Fondone. Partivano il lunedì portando nello zaino anche lo strumento musicale, così alla sera, fra le brande del dormitorio, studiavano gli spartiti che provavano poi, al rientro a casa il sabato sera, insieme agli altri paesani. Nel 1956 gli abitanti di Basati decisero di unire il paese alla strada di Ruosina ed alle cave del Giardino. Con pale e picconi iniziarono i lavori, offrendo terreni e manodopera gratuitamente e lavorando durante i giorni festivi dopo una settimana passata alla cava. Si completarono così i primi 500 metri di strada, finché nel 1960, con l'intervento del Comune e di pubbliche sottoscrizioni, si definì l'opera, creando l'anello Giustagnana, Minazzana, Basati, Seravezza e, nel 1967, l'asfaltatura Zingola-Ruosina.

Un discorso a parte merita il dialetto di Basati che si distingue da tutte le altre parlate dell'Alta Versilia. Questo modo di esprimersi, definito dal Santini “stretto e tronco”, ha stimolato la curiosità degli studiosi del Sette-Ottocento. Targioni Tozzetti, d'accordo col Campana, sosteneva che gli abitanti di Basati “sono discendenti da certi bresciani che in antico (forse ai tempi di Cosimo e Ferdinando I) lavoravano alle miniere d'argento di Gallena. Essi hanno un gergo col quale si intendono fra di loro e non sono intesi dagli altri”. Il Micheli, al contrario, riteneva che discendessero piuttosto dal Tirolo. Il Santini non era convinto da nessuna di tali ipotesi in quanto riteneva che, se così fosse stato, si sarebbe conservato qualche cognome significativo della loro origine.

LUOGHI D’INTERESSE

CHIESA DI S. ANSANO 

L'esistenza di questa chiesa è documentata a partire dal 1538, quando vi esercitava culto il prete Agostino Bartolomeo del Camparetto sotto il patronato della Compagnia  omonima, esistente già nel 1581, dipendente, dal Pievano della Cappella. Nata come oratorio, divenne poi parrocchia autonoma nel corso del XVIII° secolo. Fino al luglio 1787 la chiesa apparteneva alla Diocesi di Luni-Sarzana, passò poi sotto la neocostituita Diocesi di Pontremoli e infine alla Diocesi di Pisa nel settembre 1798. Al suo interno si trova un altare, proveniente dalla chiesa di S. Maria di Porta al Salto della Cervia; venne acquistato nel 1812, dopo che l'edificio sacro venne distrutto. Di notevole interesse è anche l'organo, situato nel coro, al di sopra della porta centrale d'ingresso, realizzato probabilmente agli inizi del XIX° secolo dalle maestranze di Pomezzana. Nell'archivio della chiesa sono tutt'oggi conservati i libri mastri che raccontano l'evoluzione politico-sociale e spirituale della comunità.

CHIESA DI S.MARIA MADDALENA 

Di pertinenza di Basati, questa chiesa, localizzata a Campagrina presso la Turrite Secca, nasce come un oratorio d'alpeggio, dove si recavano a pregare i pastori nel periodo della transumanza. Il piccolo edificio sacro, con struttura seicentesca ad una sola navata, ha il campanile staccato dal corpo della chiesa e posizionato ad alcune centinaia di metri, sopra un piccolo rilievo roccioso. In occasione della festa della Madonna, nel luglio del 2006 la comunità basatina è tornata a celebrare la Messa in Campagrina, accolta dagli abitanti della piccola frazione, che nell'occasione preparano un buffet.

GROTTA O BUCA DELLE FATE

Questo toponimo, presente in numerose zone delle Apuane, viene riferito in genere ad antri, sede di insediamenti arcaici od oggetto di riti precristiani. Il paganesimo infatti è stato spesso esorcizzato tra i popoli della montagna, attraverso l’impersonificazione delle “fate”, su cui aleggiano strane leggende. Raggiungibile dal sentiero chiamato “la Via degli Omini”, la Grotta delle Fate è un anfratto carsico, franato in parte a seguito dell'alluvione del 19 giugno 1996, quando le forti acque interne hanno favorito i processi di erosione della roccia. Tuttavia possiamo ancora intuire quale fosse la sua grandezza, in quanto è ancora possibile vedere il tetto della Grotta (detto “Técchia”), cioè la sua attaccatura alla montagna, mentre il soffitto giace davanti al suo ingresso, dove sono in corso fenomeni carsici ipogei: dopo forti temporali, infatti, è possibile udire al suo interno rumori di acque correnti.

MONTE CASTELLACCIO

Posto a 809 metri s.l.m., rappresenta nel linguaggio popolare “la testa del cavallo”, cioè la parte meridionale di quel monte (Cavallo 1021 metri s.l.m.). Negli anni '90 il gruppo archeologico versiliese ha rilevato sulla vetta una piccola spianata coperta di rovi, con grandi quantità di pietre franate sui lati, soprattutto ovest e nord. Sul primo si trova un profondo taglio, secondo una tipologia tipica delle fortificazioni medievali ma anche di epoca successiva, il quale era probabilmente sormontato da una palizzata. Queste caratteristiche fanno pensare a una torre di avvistamento in legno o comunque in materiale deperibile. Il Campana riguardo “i posti armati delle montagne” nel Capitanato di Pietrasanta alla seconda metà del Settecento, cita quello del “Colle Basatino”, armato dalle Comunità di Giustagnana, Minazzana, Valventosa, Cerreta S.Antonio e Basati. Si trattava di una torre d’avvistamento connessa con una serie di altre postazioni dalle caratteristiche comuni che doveva essere collocata proprio sul colle.

ALPE DI BASATI

Toponimo più volte menzionato dal Targioni Tozzetti nella seconda metà del XVIII° secolo in relazione alla presenza di filoni di rame e di lapislazzulo oltremarino. L'Alpe di Basati stava a indicare una vasta porzione di territorio che si estendeva, oltre che sul versante orientale del Monte Cavallo, dalla sinistra orografica della Turrite Secca alla destra orografica del canale di Betigna, fino alla cresta spartiacque dell'Altissimo, inglobando il monte Ronchi, la valle delle Gobbie e l'alpeggio di Betigna. Buona parte di questi terreni vennero acquistati tra il 1874 e il 1878 dall'allora Società d'Arni per l'escavazione, lavorazione e vendita di marmi. Dell'alpeggio usufruivano gli abitanti del paese.

I SENTIERI

VIA DEL CALVARIO O DELLE TRE CROCI

Si trova a quota 560 metri s.l.m. Nel luogo terminava il lungo percorso della Via Crucis che partiva da Basati nella ricorrenza del Gesù Morto. Sul Calvario sono collocate le tre croci della Passione dalle quali deriva il nome della località.

“LA VIA DEGLI OMINI”

Presso il paese, lungo quella che veniva definita la Via dell'Alpe, parte un sentiero che conduceva i cavatori alle cave delle Cervaiole, di fianco alla Tacca Bianca. Il sentiero più antico, probabilmente, partendo da Basati costeggia i canaloni e le dorsali del monte Cavallo, mantenendosi più o meno a 300-400 metri s.l.m., mentre nel tratto finale, ricongiungendosi alla strada marmifera che attraversa il canale del Giardino, scende a 250 metri circa s.l.m. Dal punto di vista storico e naturalistico vi sono alcuni punti d'interesse: dopo aver passato due ponti (detti “Calangelo” e “Picchiaia”) si giunge alla “Grotta delle Fate”. Dopo una breve salita si giunge in località Serra, dove godiamo di una panoramica della valle del Giardino e del paese. A lato del piccolo spiazzo c'è un'edicola religiosa, una Marginetta, al cui interno è collocato un bassorilievo della Madonna e il nome della persona che ha eseguito l'opera. Poco più avanti si trova la Grotta delle Lanterne, un buco di modesta entità praticato su di un costone roccioso di lato alla mulattiera, dove i pastori lasciavano delle piccole luci al suo interno. La successiva località, Campìa, era contrassegnata da una piccola “marginetta”, di cui resta traccia nella memoria degli anziani, e da un piccolo rudere. In cima ad uno spuntone scorgiamo la “Concezione”, un'altra immagine votiva murata nella roccia che raffigura la Madonna (Immacolata Concezione), attorniata dai serafini, che schiaccia sotto i piedi il serpente tentatore. In basso vi è il nome dei dedicanti e l'anno di realizzazione, il 1756. Proseguendo si giunge a Fattilungo, dove sopra al sentiero si trovano i resti della stazione della teleferica che trasportava la legna sulla mulattiera. La via, dopo essere risalita dal canale del Serrone, attraversa una lingua di roccia, dove venne aperto il passaggio a scalpello e, più di recente, a colpi di mina: il Serrone è così nominato in quanto la roccia chiude (“serra”) il passo. Qui sono visibili alcune petrografie, ove sono raffigurate delle piccole croci e, più in alto, una “coppella”, antichissimo simbolo di culto risalente forse ai tempi dei Liguri Apuani, rimasto vivo dopo moltissimi anni nella cultura contadina, dove ad ogni azione corrispondeva un preciso rituale. Poco dopo, oltrepassata la Segalina, si giunge in località “la Vena”, dove nel primo ventennio del XX° secolo venne fatto analizzare un campione di roccia contenente malachite (un minerale di rame), per valutare se fosse possibile aprire un giacimento nella zona. Più avanti, dopo aver superato una passerella, arriviamo in Lupinaia, dove possiamo apprezzare i resti di una fornace da calce, attiva fino al 1900, dove i Basatini venivano fino agli anni '50 a raccogliere la calce, ancora presente nella caldera, per dare il rame alle viti e agli ortaggi. Giungiamo infine al Ponte del Giardino, che una volta attraversato ci conduce sulla Marmifera delle Cervaiole: ora vi passano i camion, ma prima era l'ultima parte della strada da percorrere per raggiungere le cave. Ai piedi del “ravaneto” si trovano ancora oggi i ruderi dello spaccio e della mensa degli operai.

ITINERARIO IN MOUNTAIN BIKE: SERAVEZZA – MINAZZANA – BASATI – CERRETA S. ANTONIO – SERAVEZZA

Partendo da Seravezza si imbocca la strada panoramica per Azzano–La Cappella  (452 m. s.l.m.) e si sale su strada asfaltata fino a raggiungere, dopo il paese di Giustagnana (345 m. s.l.m.), un bivio: a sinistra si raggiunge, dopo poco più di 1 km, la Cappella di San Martino (452 m. s.l.m.), in stile romanico (XIII° secolo), con un bel campanile forse anteriore al Mille e un raffinato rosone detto “Occhio di Michelangelo”; a destra si sale invece verso Minazzana (465 m. s.l.m.). In prossimità del bivio comincia una mulattiera che presenta inizialmente un fondo sterrato e compatto e subito dopo alcuni tornanti rocciosi e impegnativi. In seguito la pendenza diminuisce e si raggiunge Minazzana, dove la mulattiera attraversa con fondo in cemento l’abitato fino ai lavatoi e da qui, piegando a sinistra, riprende a salire. Dopo qualche tornante si incontra sulla destra il sentiero per Basati che, dopo un primo tratto molto stretto, si allarga e assume le caratteristiche di una mulattiera. Il percorso presenta difficoltà simili a quello precedente, ma è caratterizzato da un panorama mozzafiato, partendo dalla  costa versiliese fino alla valle del Vezza e ai monti circostanti.
Giunti ad una Maestà si osserva il punto di arrivo di una via Crucis, che ha inizio dal sottostante paese di Basati (428 m. s.l.m.). Qui il panorama si allarga fino a comprendere la vista del monte Corchia e della Pania della Croce: è senz’altro uno dei luoghi di maggior attrattiva dal punto di vista panoramico. La mulattiera discende verso Basati tra boschi di castagni. Raggiunto il paese si suggerisce una rapida visita agli angoli più caratteristici. Usciti da Basati imbocchiamo la strada asfaltata per Ruosina, ma alla prima curva ci immettiamo su una mulattiera lastricata, dove si osservano varie Maestà, che senza particolari difficoltà ci conduce al paese di Cerreta S. Antonio (220 m. s.l.m.). Qui si riprende la strada asfaltata e si raggiunge, dopo appena  1,5 km, il fondovalle e la provinciale per Seravezza. 

Si ricorda che questo percorso, benché si svolga interamente nella prima fascia montana, è abbastanza impegnativo e può obbligare gli appassionati a effettuare alcuni tratti con bici in spalla.

LEGGENDE

La tradizione orale dice che il nome del paese di Basati derivi da “sbassati”, cioè “abbassato”, “sprofondato”, e tutto questo, secondo la leggenda, è imputabile ad un grosso lumacone, in dialetto “limacone”, che una notte di luna piena fece franare il paese.

Vi è una leggenda riferita alla Grotta delle Fate: per tenere alla larga i bambini dall'anfratto, i genitori raccontavano che al suo interno avessero dimora le Fate, che imprigionavano chiunque si fosse avventurato da quelle parti; una nenia ricordava proprio un bambino, Pittumé, e la mamma che continuava a chiamarlo disperata: “Pittumé, Pittumé, senti mamma chiama te...”.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • Campana, Francesco Analisi storica, politica, economica sulla Versilia granducale del '700.
  • Fantozzi, Paolo Storie e Leggende della Versilia, Edizioni Le Lettere.
  • Giannelli, Giorgio Almanacco Versiliese, Edizioni Versilia Oggi, 2001, vol. 1 (vedi voci “Alpe di Basati” “Basati”, “Castellaccio”, “Chiese e oratori”).
  • Santini, Vincenzo Commentarii storici della Versilia centrale.

LINK UTILI

www.pabasati.wordpress.com

 


 

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